Analisi della legge italiana contro la carne coltivata e “meat sounding”

La legge n. 172/2023 ha sancito un primato italiano tutt'altro che invidiabile.
Sofia Bondioli
Pubblicato il 15/10/2024

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Negli ultimi anni, il settore alimentare è stato attraversato da una serie di innovazioni tecnologiche che stanno trasformando profondamente il nostro modo di produrre e consumare cibo. Accanto alle preoccupazioni concernenti la sicurezza dei nuovi alimenti, l’introduzione di queste tecnologie sta facendo sorgere anche timori in merito alla possibilità di innescare un processo di omogenizzazione culturale. Le innovazioni nel settore alimentare possono infatti essere percepite come una minaccia alle tradizioni gastronomiche locali che verrebbero standardizzate, portando ad una possibile perdita dell’identità culturale. Oltre a soddisfare il fabbisogno alimentare dell’uomo, il cibo rappresenta infatti anche un valore culturale, che favorisce le relazioni sociali e offre occasioni di scambio e conoscenza tra le persone. Lo stesso diritto dell’UE si impegna a riconoscere e salvaguardare le specialità culinarie regionali, attraverso strumenti come le certificazioni DOP e IGP. Tuttavia, nel diritto comunitario tale tutela viene bilanciata con la volontà di promuovere una certa uniformità. La legislazione alimentare dell’UE si fonda infatti sulla premessa che i prodotti considerati sicuri, sulla base di criteri uniformi basati su prove scientifiche, debbano poter circolare liberamente all’interno del mercato comune. È importante però sottolineare anche che l’approccio basato sull’evidenza scientifica non esclude completamente il fatto che le decisioni in materia alimentare, anziché fondarsi su una valutazione oggettiva dei rischi e dei benefici, siano influenzate dall’opinione pubblica o da dinamiche e strategie politiche. 

A tal proposito si può osservare l’approccio del governo italiano guidato da Giorgia Meloni che, in varie occasioni, ha dichiarato la sua intenzione di riacquisire il controllo della politica alimentare nazionale attraverso l’introduzione del tema della “sovranità alimentare” tra le priorità del governo. Come affermato dalla Presidente del Consiglio l’obiettivo è quello di promuovere la pluralità culturale nazionale e regionale e contrastare il tentativo di omologazione alimentare globale. Tali dichiarazioni si riflettono anche nella decisione di rinominare il Ministero dell’Agricoltura in Ministero della Sovranità Alimentare che, tra i suoi obiettivi strategici, ha manifestato l’intenzione di contrastare la diffusione del “cibo artificiale”, con particolare enfasi sulla carne coltivata in laboratorio, oggi al centro di numerosissimi dibattiti. 

La legge italiana n. 172/2023

Partendo da tali premesse, si è aperto un lungo dibattito sul disegno di legge n. 651 recante “Disposizioni in materia di divieto di produzione e di immissione sul mercato di alimenti e mangimi sintetici”, presentato in Senato il 7 aprile 2023. L’iter si è poi concluso con l’approvazione della legge n. 172 del 1° dicembre 2023 con la quale il legislatore, richiamando il principio di precauzione di cui al reg. CE n. 178/2002, ha introdotto il divieto di produzione, uso, vendita, importazione, esportazione e distribuzione di alimenti prodotti a partire da colture cellulari. Le finalità perseguite sono esplicitamente richiamate all’art. 1, nel quale si afferma l’intento di voler «assicurare la tutela della salute umana e degli interessi dei cittadini» nonché di voler «preservare il patrimonio agroalimentare, quale insieme di prodotti espressione del processo di evoluzione socio-economica e culturale dell’Italia, di rilevanza strategica per l’interesse nazionale». 

Accanto a queste previsioni, l’art. 3 della legge introduce anche un ulteriore divieto legato al fenomeno del meat sounding. Il legislatore ha infatti vietato l’utilizzo di terminologie tipicamente associate alla carne per descrivere prodotti trasformati contenenti esclusivamente proteine vegetali. 

A completamento della norma, l’articolo 5 stabilisce infine sanzioni particolarmente severe per la violazione delle suddette disposizioni. In particolare, si prevede che, salvo che il fatto costituisca reato, i trasgressori possano incorrere in sanzioni amministrative pecuniarie che raggiungono un massimo di 60.000 euro o il 10% del fatturato annuo, con un tetto massimo di 150.000 euro. Le sanzioni includono anche la confisca dei prodotti illeciti e la chiusura temporanea degli stabilimenti di produzione.

La promulgazione: dubbi e incertezze

In concomitanza alla promulgazione della legge, è stato pubblicato sul sito web del Quirinale un comunicato nel quale si precisa che «Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha promulgato in data odierna il disegno di legge n. 651 […]. Il Governo ha trasmesso il provvedimento accompagnandolo con una lettera con cui si è data notizia dell’avvenuta notifica del disegno di legge alla Commissione europea e con l’impegno a conformarsi a eventuali osservazioni che dovessero essere formulate dalla Commissione nell’ambito della procedura di notifica». 

Questo insolito comunicato rifletteva le preoccupazioni della Presidenza della Repubblica in relazione ai contrasti che avrebbero potuto sorgere tra la normativa interna in questione e il diritto comunitario. 

Le tensioni con il diritto comunitario

Nella notifica inviata alla Commissione europea, il Governo italiano ha giustificato l’iniziativa legislativa sostenendo che la materia sia priva di armonizzazione a livello comunitario e per tali ragioni, in virtù del principio di sussidiarietà, si è resa necessaria l’adozione di una norma nazionale destinata a garantire la tutela della salute dei cittadini.

Questa affermazione risulta però poco convincente. 

I “cibi sintetici”, come definiti dal Governo italiano, sono infatti già soggetti ad una specifica disciplina a livello comunitario. Si deve infatti ritenere che tali alimenti rientrino a far parte dei cosiddetti novel food, ovvero prodotti che non sono stati significativamente consumati in Europa prima del 1997, disciplinati dal regolamento n. 2283 del 2015.

Il regolamento stabilisce un lungo e complesso iter per ottenere l’autorizzazione della Commissione europea all’immissione sul mercato del nuovo alimento, che potrà essere commercializzato solo dopo aver superato rigorosi controlli di sicurezza, dimostrando l’assenza di rischi per la salute umana. Alla luce di ciò, un intervento unilaterale nazionale, come quello del legislatore italiano, non risulta compatibile con il sistema di attribuzioni e competenze su cui si basa la legislazione alimentare dell’UE.

Il principio di precauzione 

Ulteriori incertezze si manifestano analizzando il richiamo al principio di precauzione operato dall’art. 2 della legge. Tale principio, sancito dall’articolo 191 del TFUE e richiamato dall’art. 7 del regolamento n. 178 del 2002 sulla sicurezza alimentare, può essere invocato qualora, «in circostanze specifiche a seguito di una valutazione delle informazioni disponibili, venga individuata la possibilità che un fenomeno, un prodotto o un processo possa avere effetti potenzialmente negativi per la salute ma permanga una situazione d’incertezza sul piano scientifico che non consente di compiere una valutazione completa del rischio». 

La legge italiana in esame sembra però applicare il principio in modo improprio, ritenendo sufficiente, per giustificare il divieto, l’assenza di prove circa la non dannosità degli alimenti prodotti a partire da colture cellulari. 

Secondo la Corte di Giustizia, come affermato nel caso Monsanto, «le misure di tutela assunte dallo Stato membro non possono essere validamente motivate con un approccio puramente ipotetico del rischio, fondato su semplici supposizioni non ancora accertate scientificamente». Una disposizione nazionale può essere dunque adottata a titolo precauzionale solo nella circostanza in cui il possibile rischio per la salute umana risulti adeguatamente supportato da prove scientifiche disponibili al momento dell’adozione. Nel caso in esame, lo Stato italiano non ha fornito alcun dossier a sostegno dei suoi timori, privando così la decisione politica del necessario supporto scientifico richiesto per legittimare l’adozione di misure precauzionali ai sensi del diritto UE.

Questioni procedurali

Oltre alle problematiche appena esaminate, si deve anche sottolineare che la legge in questione è da considerarsi come una misura tecnica nazionale in grado di ostacolare la libera circolazione delle merci all’interno del mercato comunitario e, come tale, avrebbe dovuto rispettare gli obblighi di informazione preventiva previsti dalla procedura TRIS regolata dalla direttiva n. 1535 del 2015. Secondo la direttiva, gli Stati membri sono tenuti a comunicare alla Commissione ogni progetto di regola tecnica prima della promulgazione ufficiale, allegando un dossier contenente gli elementi a sostegno delle finalità alla base dell’elaborazione della norma. L’art. 6 stabilisce inoltre che, in seguito alla notifica, gli Stati debbano astenersi dall’adottare la norma per un periodo compreso tra 3 e 6 mesi, consentendo così alla Commissione europea e agli altri Stati membri di effettuare le verifiche e le consultazioni necessarie. Il Governo italiano ha invece deciso di presentare alle istituzioni europee le disposizioni nazionali solo dopo averle fatte diventare legge, violando così la procedura appena descritta.

Conclusione

Dall’analisi della legge 172/2023 sono dunque emersi numerosi profili di criticità. Inoltre, non sembra che vi fosse alcuna necessità di emanare tale norma, che per altro entrerebbe in contrasto con un’eventuale futura autorizzazione delle istituzioni europee all’immissione in commercio di un prodotto creato a partire da colture cellulari.

Si può dunque ritenere che vietare a priori i “cibi sintetici” e rallentare la ricerca scientifica in questo settore non sembra essere la strategia più appropriata. Al contrario, promuovere campagne informative sull’impatto ambientale delle scelte alimentari e incoraggiare opzioni più sostenibili risulterebbe un’alternativa valida, che comporterebbe costi economici contenuti per le istituzioni. Ciò contribuirebbe al contempo a sensibilizzare la popolazione su temi quali la tutela dell’ambiente e a promuovere la tutela dei diritti fondamentali, quali la salute e il diritto ad un’informazione adeguata e corretta. 

Sofia Bondioli

Sofia Bondioli

Laureata in Giurisprudenza, ho scritto la mia tesi in Sociologia del Diritto sul tema della tutela degli animali non umani, dedicando così parte dei miei studi all’intreccio tra benessere animale, diritto alimentare e tutela dell’ambiente. Per REFOOD mi occupo della redazione di articoli per il web e per i social.
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